A partire dal 2000 ha preso piede un po’ in tutte le latitudini l’attenzione alla Street Art, sostenuta dal web con un entusiasmo che sembra esprimere l’anelito ad un sogno collettivo fino ad allora soffocato e finalmente realizzato. Le immagini alla grande scala visibili dagli spazi pubblici costituiscono una forma d’arte del nostro secolo accessibile a tutti, un’indiscutibile espressione democratica di diffusione e promozione della creatività. Il fenomeno è legato a Festival specializzati che vedono cimentarsi prevalentemente su immobili pubblici i protagonisti di questa forma artistica seguiti da stuoli di fan che pubblicizzano i loro beniamini sui social, luoghi di diffusione privilegiata delle opere.
L’origine della Street Art si deve però a figure di pionieri che operavano in maniera clandestina, con atteggiamento di contestazione allo status quo, per mettere in evidenza con immagini di forte impatto e spesso dal segno aggressivo, lo stato di disagio degli strati sociali oppressi dal potere, da quelle che venivano comunemente chiamate minoranze, contestando la proprietà privata. Gli street artist odierni sono invece legittimati dall’establishment, ed operano all’interno di festival istituzionali.
Taranto ha ormai al suo attivo il terzo festival del settore, il TRUST, Taranto Regeneration Urban and Street Festival, lanciato per introdurre elementi qualitativi all’interno delle periferie, delle aree cosiddette marginali. Anche quest’anno sono interessati il quartiere Paolo VI, la Salinella e il Borgo. Perché a Taranto anche il Borgo, ne abbiamo diffusamente parlato, è una speciale periferia. Non a caso il progetto del BAC, la cittadella della Musica nell’area dei Baraccamenti Cattolica, è finanziata nell’ambito del programma nazionale “1000 periferie”.
Proprio nel Borgo, nella precedente edizione, fu realizzato il famoso murales con il Nettuno del Giambologna su di una parete di un edificio privato di speculazione degli anni ’70 che fece discutere la cittadinanza divisa in due fazioni: una a favore e l’altra contro. È innegabile che questa iniziativa abbia animato il dibattito sulla città e questo già rappresenta a mio avviso un risultato importante, se è riuscito a scuotere le coscienze degli abitanti del quartiere e a far emergere l’interesse per le trasformazioni che riguardano la nostra città.
Queste immagini di grande impatto danno la possibilità di rivolgere l’attenzione della cittadinanza verso quartieri ancora poco conosciuti, se non evitati dai più. Basti pensare alle Case Bianche di Paolo VI per farsene un’idea, luoghi dove pochi tarantini credo siano mai andati a passeggiare e verso le quali hanno rivolto fino ad ora, prima del TRUST, solo uno sguardo fugace.
Il murales può costituire il più delle volte un correttivo ad una cattiva architettura, ed a cattive scelte urbanistiche. Perché là dove c’è qualità, ritengo che la street art non abbia ragion d’essere.
Queste opere hanno inoltre il grande merito di coinvolgere nell’azione creativa l’intera collettività, specie i più giovani, offrendo l’occasione di riconoscere in questa iniziativa, l’attenzione al loro quartiere che sembra essere per troppo tempo mancata.
Certo non basta, perché la rigenerazione urbana richiede interventi non solo di tipo superficiale, ma azioni concrete che mirino al miglioramento delle condizioni di vita, che facciano sì che non ci siano cittadini di serie A e di serie B. La diffusione di servizi, di verde urbano curato, di efficienti sistemi di collegamento fra le parti di una città così parcellizzata, il superamento del disagio sociale per la mancanza di lavoro, l’assistenza agli anziani, la cura dei più fragili sono le priorità, ma richiedono tempo. Un’opera di street art in breve tempo puo’ introdurre il germe del rinnovamento, ed è quello a cui sembra voler puntare il Festival.
Augusto Ressa.