Alla fine qualcuno piange, qualcun altro continua a dire «no vabbè», tradendo la giovanissima età nonostante l’impeto potente scatenato sul palco dell’Ariston. Hanno poco più che vent’anni (come cita un loro recente singolo) i quattro ragazzi che da Roma hanno trionfato a Sanremo 2021. Merito loro, dello show, dei social, dell’autenticità. Perché in un Festival in cui la presenza dell’auto-tune ha sorretto alcuni «big» emergenti, i Maneskin hanno dimostrato di essere musicisti «Zitti e buoni» prima, e capaci di fare spettacolo, dopo. E i maestri dell’Orchestra di Sanremo hanno plaudito al successo della giovane rock band agitando in aria a mo’ di bandiere da stadio i propri strumenti, dopo la proclamazione. I vincitori, poco prima del verdetto, abbracciati ad altre figure che miscelano musica e social. E oggi, davvero, non se ne può fare a meno. Prima che Amadeus pronunciasse il loro nome, già si ipotizzava l’effetto-Ferragni a benedire il marito Fedez e Francesca Michielin con la loro «Chiamami per nome». Lui, il rapper milanese di stanza a Los Angeles, che quattro anni fa ha assistito alla nascita dei Maneskin in qualità di giudice di X-Factor. Era il 2017 e i giovani romani arrivarono solo in finale, accompagnati dal coach Manuel Agnelli che ritroveranno nel 2021 a Sanremo a duettare con loro. Lei, la Michielin, che ha trionfato in quel talent a soli 16 anni, alla fine ha stretto l’occhio ai vincitori così come durante le prime serate ha fatto con il suo più esperto socio di palco, a volte troppo preso dall’emozione.
E poi al terzo gradino c’era chi Sanremo lo aveva già vinto, ma in coppia. Ermal Meta, così come spesso accade, da superfavorito alla vigilia si è ritrovato con la medaglia di bronzo e il premio per la miglior composizione musicale per la sua «Un milione di cose da dirti». Un brano «sanremese» è stato definito dall’artista di origini albanesi, cresciuto a Bari.
Tornando a loro, a Damiano David, Victoria De Angelis, Thomas Raggi ed Ethan Torchio, uniti dal nome «Chiaro di Luna» dalla traduzione danese-italiano, proprio sul palco dello show con la X hanno allenato le loro capacità già di per sé destinate a vivere di spettacolo. Non soltanto abiti succinti, trucco e pose ammiccanti. I Maneskin in pochissimo tempo, e prima di Sanremo, sono stati capaci di creare tormentoni radiofonici senza dimenticare la qualità dei brani. Alzi la mano chi non conosca la loro Marlena, prima sparita e poi trovata in una serie di canzoni. O il ritmo di «Chosen», primo singolo, in inglese, che ha aperto la loro strada verso un successo rapido e che vuole restare in alto.
Alla fine, anche senza i «Nooo» del pubblico in sala, che non c’era, è stato un Festival piacevole. Il Sanremo durante la pandemia si dimenticherà difficilmente, per una serie di elementi quasi impossibili da elencare tutti. Dalla sintonia autentica di Amadeus con l’amico di sempre, il mattatore (quasi) senza freni Fiorello, passando per lo stacchetto gitano che ha accompagnato ogni discesa dalle scale di Zlatan Ibrahimovic, forse un po’ troppo presente sul palco. Bella la novità, simpatica, ma forse forzatamente reiterata. Oppure le co-conduttrici che si sono alternate nelle serate (modalità sperimentata anche nel 2020), oppure ancora la scelte delle ospitate con grandi cantautori italiani. Forse la scelta più azzeccata. Quella che ha fatto, probabilmente, canticchiare il pubblico da casa. E anche la selezione degli artisti in gara sembra rispettare appieno il presente della musica italiana. Tanti nomi fino a lunedì scorso sconosciuti al grande pubblico, ora sono masticati da una platea più ampia. E anche se, ancora oggi, in tanti si dicono contrari a partecipare, che il Festival è, o era, «roba da vecchi», o che l’esito è sempre pilotato o già tutto scritto, gli ascolti non tradiscono. E chi lo vince, come da 71 anni a questa parte, è sempre il più invidiato.