La riconoscibilità di una città è data anche dalle finiture delle costruzioni che la compongono. Ciò vale soprattutto nei nuclei storici dove per secoli sono stati impiegati i medesimi materiali da costruzione e le medesime tecnologie, fino all’avvento nei primi del ‘900 del cemento armato e, da noi al sud molto raramente, dell’acciaio. A Taranto in particolare le costruzioni sono state realizzate in tufo, una calcarenite spesso cavata nello stesso banco di fondazione degli edifici, vere e proprie cave che, nella Città Vecchia, definiscono i piani cantinati a 2 /3 livelli. L’effetto complessivo della città storica è dunque determinato dal materiale di costruzione e dalle finiture superficiali. E’ raro che i palazzi storici di Taranto siano coperti da uno strato di intonaco, in quanto prevalentemente si è lasciato il materiale di prospetto a faccia vista, se realizzato in materiale durevole come il carparo (è il caso ad esempio del Palazzo Pantaleo o del palazzo Galeota) o coperto da uno strato di scialbo, cioè uno strato di calce molto diluita solitamente del colore dello stesso tufo o, nel caso delle costruzioni più modeste, come sul lungomare Garibaldi, in tonalità molto più chiare, se non a calce bianca. Questo trattamento superficiale, che costituisce la cosiddetta “superficie di sacrificio” protegge il materiale costitutivo, a patto di ripetere periodicamente il trattamento. Il risultato finale è in primis una resa cromatica complessiva omogenea con minime variazioni, e in ogni caso un’armonica composizione all’interno di un’unica gamma cromatica. Il colore dunque è uno degli elementi di riconoscibilità dei nostri tessuti storici, ed è il colore proprio dei materiali, o delle finiture superficiali che comunque a quei materiali fanno riferimento. Ciò vale anche per la città ottocentesca, per il Borgo di Taranto, dove però troviamo più spesso finiture superficiali ad intonaco insieme a scialbature e/o tinteggiature nella gamma prevalente dei colori terrosi, dal marrone chiaro al rossiccio, con richiamo al Palazzo degli Uffici, ora Archita, che di fatto costituirà per la città “nuova” una sorta di manuale per le nuove costruzioni, a cui fare riferimento. La tutela dei centri storici, e Taranto dispone di due centri storici, passa allora anche dalla conservazione delle gamme cromatiche che lo contraddistinguono. Il colore e la materia che lo veicola, costituiscono un bene imprescindibile cui far riferimento quando parliamo di rispetto e di valorizzazione della nostra identità culturale urbana. Per questo ormai molte città si sono dotate del Piano del Colore, che solitamente è Piano del Colore e dell’Arredo Urbano. In Puglia citiamo Lecce, che se ne è dotata già nel 2005, e così Bari, ma anche centri minori, come ad esempio Massafra e Nardò. Con il Bonus Facciate, uno strumento come i Piano del Colore appare indispensabile per garantire la conservazione dell’immagine storica consolidata delle nostre città ed attesta il livello culturale delle comunità urbane che in tal modo dimostrano di riconoscere il valore di questo aspetto tutt’altro che secondario della propria storia. Passeggiando per Taranto, nel Borgo umbertino, in questi mesi osserviamo purtroppo una tendenza a negare la storia del colore della città e tanti edifici ottocenteschi e di primo novecento sono tinteggiati seguendo una tendenza ai grigi e ai bianchi. Nel centralissimo Corso Umberto una importante cortina edilizia dei primi del ‘900 costituita da due grandi edifici gemelli in elegante stile floreale nati con identica finitura in colore terroso, come la gran parte degli edifici coevi all’intorno, ora presentano due coloriture. L’edificio che fa angolo con la via Mignogna è ora tinteggiato in giallo e bianco, in colore del tutto incongruo ed estraneo alla storia di quella costruzione e di questa parte importante di Taranto. Prevale dunque l’autonoma decisione su questi aspetti che riguardano invece la collettività, perché quell’immagine con quel colore originario, è consolidata nella memoria collettiva ed appartiene a tutti noi. Il piano del Colore serve a questo, a ribadire che la città è di tutti, i prospetti dei palazzi dei centri storici non possono essere trattati con beni privati, ma sono invece beni collettivi, e la scelta del colore non puo’ essere demandata ad una assemblea di condominio. Ciò vale anche per l’arredo urbano per il quale la nostra città non ha mai brillato. Basta osservare il caos dei dehors e le tante piante di questi spazi esterni lasciate seccare in queste giornate torride d’estate con affetti deprimenti sul decoro della città. La proposta di Piano del Colore per Taranto fu portata in Giunta nel 2019 ed approvata, caldeggiata dallo stesso Sindaco Melucci. Tuttavia, ad oggi, a tre anni di distanza, quel Piano non è stato ancora elaborato e i tempi stringono perché uno strumento così importante, in tempi di Bonus facciate, possa salvare ancora il salvabile di una città che vorrebbe sempre più puntare sulla cultura e sul turismo.