In occasione del trentennale di Io speriamo che me la cavo e l’Oscar alla carriera a Lina Wertmüller, Adriano Pantaleo, oggi attore affermato, decide di andare a ritrovare i suoi ex-compagni e piccoli attori di allora. Il racconto delle loro vite e del film diventano occasione per raccontare Napoli e il sud e capire se anche loro “se la sono cavata”.
Nell’attesa che il documentario arrivi anche nei cinema di Taranto, in Buongiorno Taranto, Marina Luzzi e Francesco Casula hanno intervistato il regista del documentario Giuseppe Marco Albano.
«Fin da piccolo mi hanno sempre affascinato i bambini attori, quando li osservavo al cinema sul grande schermo oppure a casa in tv, quando li vedevo recitare come miei coetanei all’interno di un grande film al fianco di attori e attrici famose –ha raccontato Albano. Che sogni può avere un bambino che fa l’attore? Quando diventa un personaggio riconosciuto da tutti già da piccolo, come si rapporta con il mondo esterno? Ecco le domande che mi sono posto ogni volta che vedevo film in cui i protagonisti erano dei bambini che avevano la mia stessa età. Uno di questi, che è diventato anche uno dei miei film preferiti, era proprio “Io speriamo che me la cavo” della grande regista Lina Wertmüller. Oggi raccontiamo una storia nuova, che ha però radici salde in quel film che tutti conosciamo quasi a memoria. Insieme ad Adriano Pantaleo, uno dei piccoli protagonisti del film, abbiamo immaginato di raccontare, a distanza di trent’anni dall’uscita della pellicola, un cammino, quello di Vincenzino, il gelataio oggi uomo di 38 anni, che decide di rintracciare tutti i suoi vecchi compagni del film e farsi raccontare come se la sono cavata».