Il lavoro a Taranto è un tasto dolente non solo per ex Ilva. Tante le vertenze aperte. Una riguarda i portuali dell’ex Taranto Container terminal, partecipata di Evergreen che nel 2015 finì in liquidazione. Due anni dopo, il Ministero delle Infrastrutture, sposando la proposta dell’Autorità di Sistema portuale del Mar Ionio, istituì l’Agenzia del lavoro portuale, in cui confluirono in 520.
L’obiettivo era il ricollocamento lavorativo nel giro di tre anni. Invece di anni ne sono passati sette e per 330, operai e impiegati specializzati il 31 marzo terminerà l’Ima, Indennità di mancato avviamento, che significa addio al sostegno economico ma anche alla clausola sociale, ovvero alla certezza per legge di reinserimento lavorativo nelle nuove realtà che si stanno affacciando al porto. Il rischio è che questi lavoratori, dopo aver atteso per anni, una volta ripartita la giostra, si ritrovino a casa senza biglietto.
Il momento infatti è strategico: c’è un nuovo terminalista, Yilport, che ha in concessione il molo polisettoriale e che mira a crescere dopo aver finora deluso le attese ed entro un paio d’anni dovrebbero prendere quota il progetto Renantis, con piattaforme eoliche offshore galleggianti, quello di Vestas, con la realizzazione delle pale eoliche più grandi al mondo e varie attività imprenditoriali favorite dalla Zona Economica Speciale e dalla Zona Franca Doganale.
Ci sarebbe dovuto essere anche il gruppo Ferretti, costruzioni di imbarcazioni di lusso e 200 assunzioni dirette pianificate ma proprio in questi giorni, con una nota, il gruppo ha ufficializzato il suo addio a Taranto per «i ritardi accumulati nel lungo iter approvativo ed attuativo e l’aumento degli investimenti necessari» a fronte della diminuzione «delle contribuzioni pubbliche al programma». Un’altra tegola che si abbatte sulla diversificazione produttiva a cui ambisce la città per emanciparsi dal solo acciaio. Marina Luzzi ne ha parlato con il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Jonio, Sergio Prete